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Reati colposi di evento e responsabilità degli enti

In tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dal riferimento contenuto nell’art. 5, d.lgs. n. 231 del 2001 all’«interesse» o al «vantaggio», sono alternativi e concorrenti tra loro, in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante, cioè al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile ex post, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito, da valutare entrambi avendo come termine di riferimento la condotta e non l’evento (così Cass. Pen., SS.UU., 24 aprile 2014, n. 38343).

Con sentenza n. 4210 del 19 novembre 2023, depositata il 2 febbraio 2024, la terza sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in questo modo.

E’ stato chiarito che, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall’interesse o dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all’evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso.

I criteri di imputazione riferiti all’interesse e al vantaggio sono giuridicamente distinti giacché, mentre il primo è criterio soggettivo, da valutare ex ante, e consistente nella proiezione finalistica volta a far conseguire all’ente un profitto indipendentemente dall’effettiva realizzazione dello stesso, il secondo è criterio oggettivo, accertabile ex post e consistente nel concreto vantaggio derivato all’ente dal reato (Cass. Pen., sez. IV, 23 maggio 2018, n. 38363).

Va, poi, evidenziato che la responsabilità amministrativa dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica (Cass. Pen., sez. IV, 20 aprile 2016, n. 24697).

E si è anche precisato che in tema di responsabilità amministrativa degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione della disciplina antinfortunistica, il criterio di imputazione oggettiva dell’interesse può sussistere anche in relazione a una trasgressione isolata dovuta ad un’iniziativa estemporanea, senza la necessità di provare la natura sistematica delle violazioni antinfortunistiche, allorché altre evidenze fattuali dimostrino il collegamento finalistico tra la violazione e l’interesse dell’ente (Cass. Pen., sez. IV, 24 marzo 2001, n. 12149).

La Suprema Corte ha anche affermato, ai fini della configurabilità della responsabilità da reato degli enti, la struttura dell’illecito addebitato all’ente risulta incentrata sul reato presupposto, rispetto al quale la relazione funzionale corrente tra reo ed ente e quella teleologica tra reato ed ente hanno unicamente la funzione di rafforzare il rapporto di immedesimazione organica, escludendo che possa essere attribuito alla persona morale un reato commesso da un soggetto incardinato nell’organizzazione ma per fini estranei agli scopi di questo (così, in motivazione, Cass. Pen., sez. IV, 8 gennaio 2021, n. 32899).

Ciò consente di affermare che l’ente risponde per un fatto proprio e non per un fatto altrui, ma non pone al riparo da possibili profili di responsabilità meramente oggettiva, sicché il giudice di legittimità ha affermato la necessità che sussista la c.d. colpa di organizzazione dell’ente, il non avere cioè predisposto un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato; il riscontro di un tale deficit organizzativo consente una piana e agevole imputazione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo.

Grava sull’accusa l’onere di dimostrare l’esistenza e l’accertamento dell’illecito penale in capo alla persona fisica inserita nella compagine organizzativa della societas e che abbia agito nell’interesse di questa; tale accertata responsabilità si estende ‘per rimbalzo’ dall’individuo all’ente collettivo, nel senso che vanno individuati precisi canali che colleghino teleologicamente l’azione dell’uno all’interesse dell’altro e, quindi, gli elementi indicativi della colpa di organizzazione dell’ente, che rendono autonoma la responsabilità del medesimo” (cfr. Cass. Pen., sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 27735).

La “colpa di organizzazione” dell’ente ha la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, quale elemento costitutivo del fatto tipico, integrato dalla violazione “colpevole” (ovvero rimproverabile) della regola cautelare.

Con la sentenza in commento la Suprema Corte (Cass. Pen., sez. IV, n. 32899/2021) ha precisato, inoltre, che proprio l’enfasi posta sul ruolo della colpa di organizzazione e l’assimilazione della stessa alla colpa, intesa quale violazione di regole cautelari, convince che la mancata adozione e l’inefficace attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7, d.lgs. n. 231/2001 e all’art. 30, d.lgs. n. 81/2008 non può assurgere ad elemento costitutivo della tipicità dell’illecito dell’ente ma integra una circostanza atta ex lege a dimostrare che sussiste la colpa di organizzazione, la quale va però specificamente provata dall’accusa, mentre l’ente può dare dimostrazione della assenza di tale colpa.

Pertanto, l‘assenza del modello, la sua inidoneità o la sua inefficace attuazione non sono ex se elementi costitutivi dell’illecito dell’ente. Tali sono, oltre alla compresenza della relazione organica e teleologica tra il soggetto responsabile del reato presupposto e l’ente (cd. immedesimazione organica “rafforzata”), la colpa di organizzazione, il reato presupposto ed il nesso causale che deve correre tra i due (Cass. Pen., sez. IV, 15 febbraio 2022, n. 18413); e si è anche precisato che l’ente risponde per fatto proprio e che – per scongiurare addebiti di responsabilità oggettiva – deve essere verificata una “colpa di organizzazione” dell’ente, dimostrandosi che non sono stati predisposti accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato.

È il riscontro di un tale deficit organizzativo a consentire l’imputazione all’ente dell’illecito penale realizzato nel suo ambito operativo (Cass. Pen., sez. IV, 28 marzo 2023, n. 21704).

Adattando le argomentazioni svolte al coso che ci occupa si può affermare che vi erano elementi comprovanti la responsabilità da reato dell’ente.

Il reato presupposto accertato era addebitabile a figure apicali della società, le quali avevano violato sistematicamente la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente.  Risultava, infatti, la mancata predisposizione ed attuazione degli specifici modelli di organizzazione e di gestione prefigurati dal legislatore rispettivamente agli artt. 6 e 7 del decreto n. 231/2001 e all’art. 30 del d.lgs. n. 81/2008.

Emergeva, inoltre, un deficit organizzativo complessivo comportante la mancata predisposizione di accorgimenti preventivi idonei a evitare la commissione di reati del tipo di quello realizzato (omessa adeguata formazione in maniera stabile dei dipendenti, assenza di protocolli per interventi di manutenzione complessi e formazione della relativa squadra, assenza dei divieti di accesso al silos durante lo svolgimento della procedura di manutenzione, carenza di valutazione del rischio sistemico a livello organizzativo; violazione delle regole cautelari stabile e permanente), dimostrativo della condotta colpevole della società in termini di rimproverabilità e dotato di incidenza causale rispetto alla verificazione del reato presupposto.

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