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Reati tributari e 231 – Non è responsabile l’amministratore non firmatario

REATI TRIBUTARI E 231 – L’amministratore “non firmatario” della dichiarazione fiscale non risponde del reato di utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti ove non sia provata l’effettiva consapevolezza dell’inserimento del mendacio fiscale.

Con la recente pronuncia n. 31017/2023, depositata il 18 luglio scorso, la Corte di Cassazione, III Sez. Penale, è tornata a pronunciarsi sulle condizioni di ascrivibilità dei c.d. “reati dichiarativi” previsti dal d. lgs. n. 74/2000 – nello specifico, in materia di reati tributari, per il delitto previsto e punito dall’art. 2 (“Utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti”) – alla figura dell’amministratore non esecutivo.

I ricorrenti – condannati in entrambi i gradi di merito – censuravano l’affermazione della loro responsabilità per il reato di cui all’art. 2 del D. Lgs. n. 74/2000 deducendo che la stessa fosse unicamente fondata sulla carica sociale ricoperta, omettendo del tutto qualsiasi valutazione dell’effettivo assetto di governance societaria e, non da ultimo, che unico firmatario della dichiarazione fiscale fosse uno dei tre amministratori della società, titolari tutti di poteri disgiunti di amministrazione.

L’assetto societario in questione prevedeva l’attribuzione di poteri di amministrazione disgiunta in favore di tre amministratori di cui, nella vicenda de qua, uno solo aveva depositato (sottoscrivendola) la dichiarazione fiscale contenente l’esposizione di elementi passivi frutto di fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti.

La Cassazione, nell’accogliere il suddetto motivo di ricorso, ha definito le tappe dell’iter logico da seguire per l’accertamento della penale responsabilità di membri di organi amministrativi collegiali, avallando un orientamento giurisprudenziale – ormai costante – in tema di imputazione del reato di bancarotta nei confronti dei c.d. “amministratori non esecutivi”.

Sul punto, infatti, è da tempo ammissibile il concorso per omesso impedimento dell’evento-reato dell’amministratore privo di delega a condizione che – in base all’effettivo contesto amministrativo – emerga la prova della sua effettiva conoscenza dei fatti pregiudizievoli per la società ovvero della presenza e dall’effettiva percezione di “segnali d’allarme” dai quali desumere, quantomeno a titolo di dolo eventuale, l’accettazione della verificazione dell’evento (da ultimo, in senso conforme; Cass. Pen., Sez. V n. 33582/2022).

Ai fini civilistici, infatti, ai sensi dell’art. 2392 c.c., sugli amministratori privi di delega grava l’obbligo di impedire la verificazione di eventi pregiudizievoli – ovvero di attenuarne o eliminarne le conseguenze dannose – di cui gli stessi siano a conoscenza.

Dal suindicato principio, infatti, la Cassazione delimita il perimetro di responsabilità penale degli amministratori privi di delega: questa, infatti, non può prescindere dall’effettiva consapevolezza delle condotte illecite, realizzate dagli amministratori esecutivi, ovvero dalla loro effettiva conoscibilità in ragione della sussistenza e dell’effettiva percezione di concreti “segnali di allarme” del reato in itinere.

In relazione al reato di cui all’art. 2 del d. lgs. 74/2000, la Cassazione ha ritenuto di escludere la responsabilità degli amministratori che non abbiano sottoscritto la dichiarazione fiscale fraudolenta mediante l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, avendo a ciò provveduto – nel perimetro delle deleghe di propria competenza, anche fattuale – altri amministratori dotati di poteri di amministrazione disgiunta.

In definitiva, la penale responsabilità degli amministratori privi di deleghe deve essere necessariamente subordinata alla loro effettiva conoscenza – o quantomeno concreta conoscibilità alla luce della presenza di concreti “segnali d’allarme” – dell’inserimento delle dichiarazioni mendaci nel documento fiscale presentato, non potendo essere ciò meramente presunto dal possesso (formale o fattuale) delle cariche societarie ricoperte.

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