Con sentenza n. 37114 del 12 settembre 2023 la III Sezione Penale della Suprema Corte è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità e verso il quale, negli ultimi anni, sono convogliati numerosi interventi del legislatore a tutela dell’ambiente.
La normativa ambientale, infatti, con specifico riferimento al D. Lgs. n. 152/2006, prevede un’apposita disciplina in ordine alla gestione dei rifiuti, alle autorizzazioni necessarie affinché le imprese possano gestire gli stessi, nonché numerose sanzioni penali in caso di violazioni.
Con la sentenza in commento la Suprema Corte si è espressa in merito ad una contestazione sollevata a carico di una società, ex D. Lgs. n. 231/2001, per un’attività di recupero non autorizzato di rifiuti (reato contravvenzionale p. e p. dall’art. 256 del D. Lgs. n. 152/2006).
Secondo gli Ermellini, la società avrebbe effettuato un’attività di recupero di rifiuti in mancanza delle relative autorizzazioni, depositando nel 2013, nell’area prospicente l’impianto di recupero, tre cumuli di rifiuti speciali, lì “messi in riserva” per poi essere recuperati o smaltiti.
La società, condannata dai giudici di merito, ha proposto ricorso per cassazione evidenziando come il reato di recupero illecito di rifiuti, diversamente dal reato di deposito incontrollato di rifiuti, previsto dal comma 2 dell’art. 256, non possa essere ritenuto un reato permanente, ma istantaneo.
Sicché, secondo la ricorrente, il reato si sarebbe ormai prescritto, atteso che il termine di prescrizione sarebbe dovuto decorrere dal 2013, ossia da quando i rifiuti venivano accatastati e “messi in riserva”.
La Corte ha chiarito come il reato di recupero di rifiuti privo delle dovute autorizzazioni possa atteggiarsi quale reato istantaneo, permanente o abituale, a seconda delle modalità di commissione.
La sentenza evidenzia come la “messa in riserva” di rifiuti, consistito nello stoccaggio finalizzato al successivo recupero degli stessi, assuma le caratteristiche del “reato permanente” fintanto che il gestore non ottenga le relative autorizzazioni per il recupero ovvero non rimuova le scorie “messe in riserva”.
Solo in seguito a tali circostanze può iniziare quindi a decorrere il termine di prescrizione del reato.
Secondo la Suprema Corte, infatti, “le condotte illecite in tema di rifiuti, compreso il reato di deposito incontrollato non connotato da una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti, che, per la sua episodicità, esaurisce gli effetti della condotta fin dal momento dell’abbandono e non presuppone una successiva attività gestoria volta al recupero o allo smaltimento, hanno natura permanente quando l’attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento delle cose abbandonate, sicché, in tal caso, la condotta cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella del rilascio“.
In estrema sintesi, la Cassazione ha affermato che la consumazione del reato di cui sopra, come detto consistito in un’attività non autorizzata di recupero di rifiuti sub specie di messa in riserva, si protrae sino all’interruzione della condotta illecita, da individuarsi con l’ottenimento dell’autorizzazione, ovvero con la definitiva cessazione della specifica attività gestoria di recupero.
Sempre in materia, degna di nota, sebbene più risalente, è la sentenza n. 38676 del 20 maggio 2014 con la quale la III Sezione Penale della Suprema Corte ha affrontato i concetti di “discarica abusiva”, “deposito temporaneo”, “deposito preliminare” e “messa in riserva” affermando che:
“secondo il costante e condiviso orientamento di questa Corte, per deposito controllato o temporaneo, si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, quando siano presenti precise condizioni relative alla quantità e qualità dei rifiuti, al tempo di giacenza, all’organizzazione tipologica del materiale e al rispetto delle norme tecniche elencate nel D.Lgs. n. 152 del 2006.
Tale deposito è libero, non disciplinato dalla normativa sui rifiuti (ad eccezione degli adempimenti in tema di registri di carico e scarico e del divieto di miscelazione), anche se soggetto ai principi di precauzione e di azione preventiva che, in base alle direttive comunitarie, devono presiedere alla gestione dei rifiuti, per cui, in difetto di anche uno solo di tali requisiti, il deposito non può ritenersi temporaneo, ma va considerato:
– deposito preliminare, se il collocamento di rifiuti è prodromico a un’operazione di smaltimento che, in assenza di autorizzazione o comunicazione, è sanzionata penalmente dal d.lgs. N. 152 del 2006, art. 256, comma 1;
– messa in riserva, se il materiale è in attesa di un’operazione di recupero che, essendo una forma di gestione, richiede il titolo autorizzativo, la cui carenza integra gli estremi del reato previsto dal d.lgs. N. 152 del 2006, art. 256, comma 1;
– deposito incontrollato o abbandono, quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero. Tale condotta è sanzionata come illecito amministrativo, se posta in essere da un privato e come reato contravvenzionale, se tenuta da un responsabile di enti o titolare di impresa; – discarica abusiva, quando invece l’abbandono dei rifiuti è reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi”.