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Il responsabile tecnico dell’azienda può rispondere del reato di traffico illecito di rifiuti

L’articolo 12 del d.m. 3 giugno n. 120/2014,  del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare (Regolamento relativo all’istituzione dell’Albo dei gestori ambientali), a norma del quale il responsabile tecnico di una impresa deve porre in essere azioni dirette ad assicurare la corretta organizzazione nella gestio ne dei rifiuti da parte dell’impresa nel rispetto della normativa vigente e di vigilare sulla corretta applicazione della stessa, nonché svolgere tali compiti in maniera effettiva e continuativa, costituisce in capo al medesimo una vera e propria «posizione di garanzia» relativa al rispetto della normativa in materia di gestione dei rifiuti di cui al d. lgs. 152/2006, con la conseguente responsabilità per gli illeciti connessi alla violazione di tale normativa.

Con la sentenza n. 16191/2024 la III Sez. della Suprema Corte di cassazione, occupandosi di reati ambientali, si è soffermata sulla figura del responsabile tecnico delle gestione dei rifiuti, prevista e disciplinata dall’art. 12 del D.M. 3 giugno 2014, n. 120 (Regolamento relativo all’istituzione dell’Albo dei gestori ambientali), definendone con precisione i relativi compiti e doveri e i conseguenti profili di responsabilità sotto il profilo penale.

Con ordinanza del 12/09/2023 il Tribunale della libertà di Catanzaro rigettava l’appello cautelare proposto dall’indagato avverso il rigetto della richiesta di revoca della misura interdittiva del divieto di esercizio dell’attività di impresa. Tale misura che era stata applicata nell’ambito di un procedimento penale concernente il reato di “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, previsto dall’art. 452-quaterdecies cod. pen.

Avverso tale provvedimento di rigetto del Tribunale della libertà proponevano ricorso i difensori dell’indagato per violazione di legge e vizio di motivazione.

In particolare, ad avviso della difesa, l’ordinanza impugnata si limitava a richiamare, per relationem, l’ordinanza cautelare genetica senza adempiere all’obbligo di “autonoma motivazione” previsto dall’art. 292, comma 2, c.p.p., omettendo di pronunciarsi in ordine alla deduzione difensiva secondo cui l’indagato, in quanto mero «responsabile tecnico» della società (a differenza del c.d. «direttore tecnico» cui spetta la responsabilità della gestione operativa dell’azienda) non aveva il compito di impedire la commissione di illeciti ambientali all’interno dell’impresa, ma solo quello di procedere ad un mero «esame visivo» dei rifiuti; pertanto, secondo i ricorrenti, nessuna responsabilità poteva sussistere in capo allo stesso per il reato di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi in merito a tale vicenda, ha anzitutto dichiarato inammissibile il ricorso sulla base del consolidato principio per cui l’obbligo di “autonoma motivazione” previsto dall’art. 292, comma 2, c.p.p. è previsto nei soli casi in cui il giudice applica per la prima volta, inaudita altera parte, una misura cautelare; mentre non trova applicazione nei casi in cui il giudice prende decisioni a seguito di impugnazione di parte.

Il Collegio, tuttavia, non si è limitato a dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ma ha ritenuto di doversi pronunciare anche nel merito dello stesso, individuando con esattezza i compiti e i doveri del responsabile tecnico così come previsti dal d.m. 3 giugno 2014, n. 120, nel tentativo di definirne i profili di responsabilità.

A tal fine risulta fondamentale l’articolo 12 del d.m. 3 giugno 2014, n. 120, ai sensi del quale il responsabile tecnico ha il compito di

«porre in essere azioni dirette ad assicurare la corretta organizzazione nella gestione dei rifiuti da parte dell’impresa nel rispetto della normativa vigente e di vigilare sulla corretta applicazione della stessa»; egli, inoltre, «svolge la sua attività in maniera effettiva e continuativa ed è responsabile dei compiti di cui al comma 1».

Ebbene, ad avviso del Collegio, proprio tale disciplina di rango secondario (si tratta infatti di un regolamento) determina l’insorgenza in capo al responsabile tecnico di una vera e propria «posizione di garanzia» relativa al rispetto della normativa in materia di gestione dei rifiuti; di conseguenza egli è gravato da un obbligo di vigilanza e controllo in ordine alla corretta applicazione del Codice ambientale (d.lgs. 152/2006), con conseguente responsabilità per gli illeciti commessi in azienda in violazione delle relative disposizioni.

In forza di tali considerazioni, la Corte di cassazione ha ritenuto “manifestamente infondato” il ricorso.

La sentenza in commento risulta di particolare interesse in quanto mette in evidenza quanto sia fondamentale, specie nelle realtà organizzative più complesse, procedere ad una corretta suddivisione degli incarchi ed un’attenta perimetrazione dei compiti e dei doveri di vigilanza e controllo gravanti in capo ai diversi soggetti che, a vario titolo, svolgono attività nevralgiche concernenti l’ambiente, con particolar riferimento al settore della gestione dei rifiuti.

Occorre precisare come, in tale contesto, la figura del responsabile tecnico sia indispensabile, in quanto proprio il d.m. n. 120/2014,, prevede come obbligatoria la sua nomina per tutte quelle imprese che svolgono “Attività di gestione dei rifiuti per le quali è richiesta l’iscrizione all’Albo, come ad esempio:

  • raccolta e trasporto di rifiuti urbani;
  • raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi;
  • raccolta e trasporto di rifiuti speciali pericolosi;
  • imprese che effettuano il solo esercizio dei trasporti transfrontalieri di rifiuti;
  • intermediazione e commercio di rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi;
  • bonifica di siti;
  • bonifica di beni contenenti amianto.

Inoltre, ai sensi dell’art. 10, comma 4, del d.m. n. 120/2014 , le imprese e gli enti che fanno richiesta di iscrizione all’Albo devono nominare, a pena di improcedibilità della domanda, almeno un responsabile tecnico in possesso dei relativi requisiti di idoneità e professionalità stabiliti all’interno della normativa.

Ebbene, a seguito di quest’ultima pronuncia della Suprema Corte, risulta ormai chiaro come il responsabile tecnico, figura cardine per tutte le imprese che operano nel settore ambientale, sia gravato da un più consistente dovere di vigilanza e controllo, e al pari di quanto avviene per il “direttore tecnico” e il legale rappresentante, può essere chiamato a rispondere penalmente per non aver impedito la commissione di tutti quei reati che si riconnettono alla gestione dei rifiuti in azienda.

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