La Corte di Giustizia Europea, con la pronuncia C-203/21, si è espressa sulla questione del rapporto tra la contestazione mossa ad una persona fisica che agisce per conto dell’ente e quella che interessa direttamente il soggetto giuridico.
La vicenda processuale trae origine dalla contestazione mossa alla rappresentante e amministratrice di una società bulgara, la Delta Stroy, la quale fu accusata di aver eluso il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto per tre periodi fiscali.
Da tale procedimento ebbe origine un secondo separato procedimento penale a carico della Delta Stroy in cui venne avanzata, da parte del Procuratore Regionale di Burgas, la domanda volta ad ottenere l’irrogazione di una sanzione pecuniaria a carico della società ai sensi degli artt. 83a e ss. della legge bulgara sugli illeciti amministrativi e sulle sanzioni (ZANN), sostenendo che la società avrebbe beneficiato di un indebito vantaggio patrimoniale derivante dal reato commesso dalla propria amministratrice.
Giova evidenziare che ai sensi dell’art. 83 della legge bulgara, il Tribunale ha il compito di ricostruire la responsabilità dell’ente valutando:
- Se la persona di cui trattasi abbia ottenuto un vantaggio illecito;
- Se esista un legame tra l’autore del reato e la persona giuridica;
- Se esista un nesso tra il reato e il vantaggio ottenuto dalla persona giuridica;
- Quali siano la natura e il valore del vantaggio;
non figurando il compito di verificare l’effettiva commissione del reato ad opera della persona fisica.
Pertanto, sarebbe possibile irrogare ad una persona giuridica una sanzione pecuniaria formulata unicamente sugli elementi di accusa mossi nei confronti della persona fisica con riguardo ad uno specifico reato, la cui sussistenza non sia stata ancora accertata con sentenza passata in giudicato.
Il Tribunale bulgaro prima, e la Corte di Giustizia europea poi, contestano proprio l’irrogazione di una sanzione alla persona giuridica ancor prima che il reato sia stato accertato nei confronti della persona fisica, ciò ponendosi in contrasto con gli artt. 48 e 49 della Carta e con l’art. 7 della Cedu, i quali ostano all’applicazione di una sanzione penale ad un individuo prima che sia stata accertata e dichiarata la sua responsabilità penale e personale, violando il principio della presunzione di innocenza.
Alla luce di tali considerazioni, il giudice del rinvio ha sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte di giustizia una questione pregiudiziale chiedendo se gli artt. 4 e 5 della decisione quadro 2005/212 e l’art. 49 della Carta debbano essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa di uno Stato membro in base alla quale, in un procedimento come quello principale, il giudice nazionale può infliggere una sanzione a carico di una persona giuridica fissando l’importo di tale sanzione a seconda del profitto che sarebbe stato ottenuto mediante un determinato reato la cui commissione non è stata ancora accertata perché oggetto di un procedimento penale parallelo non ancora concluso in via definitiva.
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La posizione della Corte di Giustizia Europea
La Corte di giustizia, chiamata a dare una risposta alla questione, ha innanzitutto ribadito come il principio del riconoscimento dei diritti fondamentali alle persone giuridiche sia oramai acquisito, riconoscendo, dunque, anche l’applicabilità del principio della responsabilità personale e della personalità delle pene e delle sanzioni, così come anche la presunzione di innocenza, in quanto parte dei diritti fondamentali e in considerazione della natura delle infrazioni e della severità delle sanzioni.
In secondo luogo, la Corte ha ribadito come occorra fare specifico riferimento all’art. 48 della Carta, il quale obbliga gli Stati membri a non oltrepassare, in materia penale, una determinata soglia, e cioè di contenere le presunzioni di fatto o di diritto contemplate dalle leggi penali entro limiti ragionevoli, tenendo conto dell’importanza degli interessi in gioco e rispettando i diritti della difesa i quali rientrano tra i diversi elementi che costituiscono il principio della tutela giurisdizionale effettiva, sancito all’articolo 47 della Carta .
Nel caso de quo, l’ordinamento bulgaro ha previsto una sorta di responsabilità speciale in capo alle persone giuridiche, limitata ai reati per i quali essa è prevista e concepita a partire da un modello rappresentativo. Il giudice penale non può quindi contestare direttamente un reato alla persona giuridica interessata, posto che la responsabilità di quest’ultima è «collegata» a quella di una persona fisica identificata, che, alla luce della sua situazione, si ritiene possa aver agito per conto della persona giuridica.
Una siffatta qualificazione, apparrebbe idonea a violare l’articolo 7 della CEDU e l’articolo 49 della Carta, che sanciscono il principio della personalità delle pene, ma così non è nell’ipotesi di una responsabilità fondata sulla tecnica della rappresentanza.
Infatti, la persona fisica interessata non è terza rispetto alla persona giuridica ma è la persona giuridica, in cui si identifica. Quest’ultima sarà penalmente responsabile quale autore del reato commesso per suo conto da una persona fisica avente i poteri di contrarre obbligazioni in suo nome e che ha soddisfatto gli elementi costitutivi del reato. Si tratta di una cd. responsabilità per fatto proprio in ragione di un rapporto di rappresentanza.
Come già ribadito, dalla normativa bulgara emerge che il procuratore ha la possibilità di richiedere una sanzione pecuniaria a una persona giuridica a prescindere dall’effettiva insorgenza di una responsabilità in capo alle persone fisiche coinvolte nel reato e, di conseguenza, la persona giuridica interessata potrà essere oggetto di una decisione di condanna definitiva, seguita da una sua esecuzione, senza aver avuto la possibilità, prima dell’adozione di detta decisione, di far valere le proprie osservazioni sulla commissione del reato fiscale che le viene contestato, vedendo così leso il rispetto del diritto della difesa.
Tuttavia, la Corte, richiamando l’art. 52 della Carta, afferma che possano essere apportate limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti da quest’ultima, purché, in primo luogo, tali limitazioni siano previste dalla legge, in secondo luogo, esse rispettino il contenuto essenziale dei diritti e delle libertà in questione e, in terzo luogo, nel rispetto del principio di proporzionalità, esse siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
Per ciò che invece concerne la questione pregiudiziale, se l’art. 49 della Carta osti a una normativa come quella oggetto del procedimento principale che prevede che la sanzione pecuniaria comminata alla persona giuridica sia quantomeno pari al valore del vantaggio illecito, si deve ricordare che la severità di una sanzione deve corrispondere alla gravità della violazione di cui trattasi, nel rispetto del principio di proporzionalità.
In tale contesto e alla luce dell’importanza che la giurisprudenza della Corte riconosce, ai fini della realizzazione dell’obiettivo della piena riscossione dell’IVA, alla lotta ai reati in materia di IVA l’esistenza di un importo minimo per la tipologia di pena dell’ammenda, corrispondente al vantaggio economico illecito, potenziale o effettivo, sembra rispettare tale principio.
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La presunzione di imputazione della persona giuridica e il rapporto con l’art. 8 d.lgs. 231/2001
In conclusione, la Corte ha dunque affermato che gli artt. da 47 a 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea devono essere interpretati nel senso che non ostano alla normativa di uno Stato membro che, nell’ottica di contrastare l’evasione fiscale, prevede una presunzione d’imputazione in capo a una persona giuridica di un presunto reato commesso per suo conto da una persona fisica e l’inflizione di una sanzione pecuniaria a carico della persona giuridica.
L’articolo 49, paragrafo 3, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa di uno Stato membro che, per rispondere a una violazione da parte del soggetto passivo dei suoi obblighi di dichiarazione in materia di IVA, prevede un regime sanzionatorio per cui può essere comminata un’ammenda minima il cui importo corrisponde al vantaggio economico illecito che esso ne ha tratto o può trarne, a condizione che detta normativa sia atta a garantire la realizzazione dell’obiettivo della lotta all’evasione fiscale e non ecceda quanto necessario per conseguire tale obiettivo.
Con la pronuncia in esame, la Corte ha quindi ribadito che è necessario applicare alla persona giuridica le medesime garanzie e i medesimi diritti fondamentali delle persone fisiche.
Una statuizione di tal sorta, potrebbe però avere non irrilevanti risvolti anche sul nostro ordinamento interno. Si rammenta, infatti, che la giurisprudenza di legittimità italiana, si è più volte espressa, da ultimo con la sentenza n. 10143/2023 di cui si è già discusso, interpretando l’art. 8 del d. lgs 231/2001, che declina il principio di autonomia dell’ente, sottolineandone la funzione processuale, operando nell’ottica di un alleggerimento probatorio dell’onere dimostrativo della pubblica accusa che si accinge a perseguire un corporate crime; qualora non sia identificato l’autore del reato, all’accusa sarà sufficiente allegare elementi indiziari, poiché la responsabilità dell’ente potrà anche essere affermata qualora l’autore persona fisica rimanga ignoto.