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Le sanzioni interdittive applicabili all’ente

Con la Sentenza n. 47564 del 27 novembre 2023 la V Sezione Penale della Cassazione, in tema di sanzioni interdittive applicabili all’ente ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, ha precisato che non può essere condiviso l’assunto per il quale le autorizzazioni, licenze o concessioni di cui all’art. 9, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 231 del 2001 dovrebbero identificarsi esclusivamente nei provvedimenti che legittimano, in tutto o in parte, lo svolgimento dell’attività d’impresa”.

L’art. 9, comma 2, del d.lgs. n. 231/2001 stabilisce che le sanzioni interdittive sono:

a) l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Il caso in commento trae origine dal ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova e dal difensore della società imputata avverso l’ordinanza del Tribunale della Libertà che ha parzialmente accolto l’appello da parte dell’Ente con cui il Gip aveva disposto la misura cautelare dell’interdizione dall’esercizio dell’attività d’impresa per la durata di sei mesi.

L’illecito amministrativo contestato era quello previsto dall’art. 24-ter, comma 2, d.lgs. n. 231 del 2001, in relazione alla commissione del delitto di associazione a delinquere  di cui all’art. 416 c.p., finalizzata alla commissione di truffe aggravate e di falsi materiali in atto pubblico.

Secondo la prospettazione accusatoria, attraverso documentazione falsa, gli associati, a vario titolo ricoprenti ruoli nella società, avrebbero posto a carico dei clienti costi o spese doganali superiori agli esborsi effettivamente sostenuti.

Il Tribunale, incontestati gli elementi costitutivi del reato, ha ritenuto insussistenti le cause di inapplicabilità delle sanzioni interdittive di cui all’art. 17, comma 1, lett. b), d. lgs. n. 231 del 2001 e, in particolare, l’adozione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della stessa specie, sostituendo, in quanto maggiormente proporzionata alla portata dell’illecito, la misura dell’interdizione con quella della sospensione.

La Suprema Corte ha statuito, come si è detto sopra, che non è condivisibile l’assunto accusatorio per il quale le autorizzazioni, licenze o concessioni di cui all’art. 9, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 231 del 2001 dovrebbero identificarsi esclusivamente nei provvedimenti che legittimano, in tutto o in parte, lo svolgimento dell’attività d’impresa.

“Se, infatti, le autorizzazioni, licenze o concessioni di cui all’art. 9, comma 2, lett. b) del d. lgs. n. 231 del 2001 dovessero identificarsi esclusivamente nei provvedimenti che legittimano, in tutto o in parte, lo svolgimento dell’attività d’impresa, si finirebbe per rendere la lett. b) un duplicato della precedente lett. a), che contempla tra le sanzioni interdittive proprio l’interdizione dall’esercizio dell’attività, in tal modo tradendo il principio di gradualità e di proporzionalità della risposta sanzionatoria e che, per altro verso, contrasta con la stessa lettera della legge che circoscrive la sua portata ai provvedimenti amministrativi “funzionali” alla commissione dell’illecito, ossia a sviare l’attività imprenditoriale dalla necessaria cornice di legalità nella quale si deve svolgere”.

Pertanto, la sospensione o revoca dell’autorizzazione può riguardare anche una sola autorizzazione, altrimenti sarebbe equiparabile all’interdizione.

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