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La Sentenza “ILVA” di Taranto: l’efficacia esimente del Modello 231 e dei presidi adottati dalla società

Con la sentenza 1/2021, la Corte di Assise di Taranto ha condannato le società del Gruppo siderurgico, per i reati di cui agli artt. 24 ter, comma secondo (criminalità organizzata), 25 undecies, comma secondo, lett. a), b), c), e), h) (delitti ambientali), nonché 25 septies, commi primo, secondo e terzo d.lgs. n. 231/2001 (Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro), relativamente ai fatti avvenuti nello stabilimento siderurgico di Taranto tra il 2009 e il 2013.

Il Tribunale ha affrontato diversi temi legati al regime di responsabilità amministrativa degli enti, da un punto di vista sostanziale e processuale:

Per quanto riguarda i reati ambientali, questi sarebbero stati commessi in un arco temporale, convenzionalmente ricompreso tra l‘8.8.2009 e il 6.9.2013. Tuttavia, l’art. 25 undecies è stato inserito nel catalogo dei reati presupposto solo nel 2011. A questo punto sarebbe lecito domandarsi se tale norma fosse applicabile all’ente in quanto tale se la data del commesso reato fosse anteriore.

Per il Giudice tale questione si risolverebbe mediante la contestazione del reato associativo, il quale consentirebbe di eludere il principio sancito dall’art. 2, in virtù del quale non si può ritenere l’ente responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto.

La sentenza, poi, prosegue argomentando che, al fine della sussistenza della colpevolezza degli enti, in caso di contestazione del delitto di associazione per delinquere, non è necessario che i reati rientrino fra quelli richiamati dal catalogo.

L’evoluzione nel tempo del gruppo siderurgico ha posto un altro interrogativo alla Corte di Taranto, con riferimento al rapporto fra le vicende modificative dell’ente e la contestazione degli illeciti amministrativi. In questo caso, il Tribunale ha dato prevalenza all’aspetto sostanziale, soffermandosi sulla effettiva struttura del gruppo: questo non teneva conto dei singoli soggetti giuridici che di volta in volta ricoprivano cariche apicali e che agivano, evidentemente, nell’esclusivo interesse-vantaggio proprio, non della società, così come prevede l’art. 5 del d.lgs. 231/2001.

Altro punto toccato dalla Corte è poi quello del controllo giudiziario del Modello 231 della società: questo veniva adottato per la prima volta nel 2008, contestualmente alla nomina di un OdV collegiale. Il modello veniva poi aggiornato a cadenza biennale nel 2010 e nel 2012, proprio come adattamento alle nuove figure di reato inserite del catalogo 231.

La Corte si rifà al cd. “principio di immedesimazione organica”, per cui il Modello adottato dall’ente era effettivamente ed oggettivamente ben predisposto teoricamente, ma questo prevedeva una serie di principi e regole di condotta rimaste inattuate. Inoltre, l’Organismo di Vigilanza nominato era solo apparente, mancando i requisiti dell’indipendenza dagli amministratori e dell’autonomia dei loro poteri di iniziativa e controllo.

I componenti degli OdV delle società del gruppo erano coincidenti: questo avvalora il fatto che il modello fosse inidoneo e che la natura dell’organo di controllo fosse di tipo fraudolento.

Ancora una volta, si affronta il tema dell’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente, argomento su cui si sono confrontate le sezioni unite della Cassazione. I Giudici di Taranto hanno ammesso la costituzione di parte civile nei confronti dell’ente chiamato a rispondere in sede penale degli illeciti 231, nonché come responsabile civile, aderendo ad una interpretazione degli artt. 35 e 36 del d.lgs, con riferimento all’applicazione delle norme del codice di procedura penale, in quanto applicabili, anche quelle relative all’imputato, in quanto compatibili.

Tuttavia, come noto, manca, un’espressa indicazione di inammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente: l’art. 12 in materia di riduzione della sanzione pecuniaria, particolare tenuità del fatto e condotte riparatorie, prevede che da qui discendano due profili di responsabilità, quello da reato e quello da illecito dell’ente, con conseguenze, inevitabilmente differenti, soprattutto con riferimento al danno, come conseguenza della “colpa di organizzazione” dell’ente.

La Corte di Assise di Taranto ha quindi affermato la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi loro contestati, condannandoli, in solido con gli imputati, al risarcimento dei danni.

Infine, viene sottolineato che i reati ambientali sono stati contestati a titolo colposo, secondo il principio di immedesimazione organica, dal momento che questi reati sono stati posti in essere nell’ambito del delitto associativo ed è stata ritenuta sussistente la responsabilità sul presupposto della sistematica violazione delle norme cautelari.

L’interesse e il vantaggio per l’ente è consistito nella mancata attuazione di misure di sicurezza, prevenzione e protezione per i lavoratori (risparmio di spesa), nonchè nella massimizzazione della produzione, non avendo considerato i rischi ambientali e di sicurezza degli impianti dello stabilimento.

La società è stata condannata anche per le condotte colpose che hanno portato agli infortuni sul lavoro: in questo caso l’interesse e il vantaggio è consistito in una politica di impresa volta alla riduzione dei costi ed alla massimizzazione dei profitti, attuata mediante la mancata adozione delle misure precauzionali e all’omessa valutazione dei rischi, in particolare la conformità agli standard di sicurezza, la mancata adozione e attuazione di un efficace modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati della specie di quelli verificatesi e la sistematica violazione delle norme prevenzionistiche.

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