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Sequestro 231 con garanzie rinforzate

Il decreto di sequestro preventivo emesso nei confronti di una società dev’essere specificamente motivato relativamente alle ragioni per cui i beni suscettibili di apprensione potrebbero essere modificati, dispersi, deteriorati, utilizzati o alienati, considerata la loro natura.

Questo è quanto emerge dalla sentenza n. 14047 del 5 aprile 2024, emessa dalla VI sez. penale della Corte di Cassazione.

La vicenda originava dall’ordinanza del Tribunale di Macerata che rigettava la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo a carico di una s.r.l. accusata dell’illecito amministrativo previsto e punito dall’art. 24 d.lgs. 231/2001, in relazione ai delitti di truffa.

Nel ricorso per Cassazione si deduceva la violazione di legge per la ritenuta insussistenza delle esigenze cautelari sottese al sequestro del profitto del reato e la contestuale assenza di motivazione del provvedimento.

La difesa, in particolare, aveva prodotto documentazione idonea a comprovare la capienza del patrimonio societario e l’insussistenza del rischio di sottrazione del profitto alla futura (probabile) confisca: come sostenuto dalla sentenza SS. UU. Ellade 36959/2021, il provvedimento di sequestro finalizzato alla confisca deve sempre contenere la motivazione circa le esigenze cautelari che mira a tutelare.

La Suprema Corte accoglieva il ricorso, ripercorrendo i tratti salienti della sentenza sopra citata.

L’ordinanza impugnata si era limitata ad affermare che la capienza del patrimonio non costituisse idonea garanzia, essendo possibile che, nelle more del giudizio, lo stesso potesse essere dissolto. Tale affermazione sembra aderire all’indirizzo minoritario per cui il sequestro si può disporre sulla base del mero presupposto della confiscabilità del bene.

La Cassazione ha affermato, in prima istanza l’applicabilità dell’orientamento prevalente anche alle società nei cui confronti si procede per l’affermazione di responsabilità ai sensi del d.lgs. 231/2001: in questo caso la confisca appare qualificata alla stregua di una sanzione e, dunque, in un’anticipazione del trattamento sanzionatorio, ponendo il sequestro sullo stesso piano di una misura cautelare.

Secondo lo schema normativo del d.lgs. 231/2001, non occorrerebbe la prova della sussistenza degli indizi di colpevolezza, la loro gravità o il periculum, essendo sufficiente l’accertamento della confiscabilità de beni.

Tuttavia, come affermato dai giudici di legittimità, la natura della confisca e gli effetti della sua anticipazione in fase di sequestro costituiscono elementi che rendono necessaria un’apposita motivazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora: tale requisito è ancor più necessario nell’ambito del giudizio a carico degli enti, essendo questo improntato alla salvaguardia della continuità aziendale e del principio di proporzionalità delle misure cautelari.

La previsione speciale dettata all’art. 53 d.lgs. n. 231 del 2001 non si differenzia – quanto ai presupposti di applicabilità del sequestro – da quella generale disciplinante il sequestro finalizzato alla confisca ex art. 321, comma 2, cod. proc. pen.

A ciò si aggiunga che, per le ragioni ampiamente esposte nella sentenza “Ellade”, è la natura stessa delle misure cautelari che impone la ricorrenza del duplice requisito del fumus e del periculum, sicchè non vi è ragione alcuna per ritenere che il decreto di sequestro, adottato ai sensi dell’art.53 d.lgs. n. 231 del 2001, non debba contenere la sia pur sintetica motivazione in ordine alle esigenze cautelari che il sequestro mira a tutelare.

Occorre aggiungere, infine, che il d.lgs. n.231 del 2001 è improntato alla salvaguardia della continuità imprenditoriale, posto che il sistema sanzionatorio contempla plurimi strumenti premiali che consentono, nel corso del procedimento di adottare quelle forme di recupero della legalità a fronte del quale è previsto un trattamento sanzionatorio di assoluto favore.

Rispetto alla ratio che ispira il d.lgs. n.231 del 2001, non appare compatibile un’interpretazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca che sia, potenzialmente, in grado di esautorare l’ente dall’utilizzo di gran parte del proprio patrimonio e della azienda, anticipando gli effetti della condanna e, di fatto, impedendo anche l’efficace adozione delle misure riparatorie, se non a fronte della rigorosa verifica dei presupposti, anche in ordine al periculum in mora.

Gli Ermellini, dunque, hanno affermato che il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca richiede una specifica motivazione in ordine alle ragioni per le quali i beni suscettibili di apprensione potrebbero, nelle more del giudizio, essere modificati, dispersi, deteriorati, utilizzati o alienati, tenendo conto della tipologia dei beni presenti nel patrimonio del destinatario, senza che, tuttavia, le esigenze cautelari possano essere desunte esclusivamente dall’incapienza del patrimonio rispetto al presumibile ammontare della confisca.

Accogliendo il ricorso, la Cassazione ha rinviato gli atti al Tribunale che dovrà attenersi a questo principio, non potendo integrare la motivazione del decreto che, in quanto assente, costituisce causa di nullità del provvedimento.

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