La disciplina del tentativo è applicabile agli enti: infatti, ai sensi dell’art. 26 d.lgs. 231/2001, l’ente non risponde se volontariamente impedisce la consumazione del reato.
Tale ipotesi si differenzia dal meccanismo previsto dall’art. 6, ossia l’esclusione della responsabilità legata alla adozione ed implementazione di un Modello organizzativo.
L’art. 26 comma 1, disciplinando l’ipotesi di tentativo, ha previsto una riduzione da un terzo alla metà delle sanzioni interdittive e pecuniarie. Ben più interessante è invece il comma 2 dello stesso articolo, che prevede che “l’ente non risponde quando volontariamente impedisce il compimento dell’azione o la realizzazione dell’evento”.
Si tratta, a ben vedere, di una causa di esclusione della punibilità (rectius responsabilità) mutuato dall’istituto codicistico – riferito alla persona fisica – del recesso attivo o pentimento operoso.
Si distingue, come detto, dall’art. 6 poichè mentre in un caso il reato si è verificato, ma l’ente non risponde se si è impegnato a prevenirlo, nell’altro caso il reato non viene portato a consumazione, poichè la prevenzione si è dimostrata in concreto paralizzante.
L’impedimento del compimento del reato può riguardare soltanto quelle fattispecie attuabili attraverso il compimento di una condotta frazionata ovvero da realizzare mediante una pluralità di atti.
Come anticipato, l’impedimento deve essere stato volontario. Perciò è opportuno individuare quali comportamenti volontari siano richiesti all’ente per rientrare nell’ambito di applicazione dell’istituto.
Per individuare se l’impedimento della condotta o dell’evento è riconducibile al comportamento volontario dell’ente, si deve valutare la sussistenza di un nesso di causalità fra l’attività dell’ente e, appunto, la mancata realizzazione della condotta o il compimento dell’evento.
Rileverebbe, dunque, anche l’impedimento della commissione del reato dovuto ad un comportamento antecedente dell’impresa, che abbia adottato ed attuato procedure interne tali da paralizzare il verificarsi dell’evento posto in essere dal soggetto attivo del reato presupposto.
In altre parole, la volontarietà consisterebbe nell’avvenuta adozione ed attuazione delle procedure in questione.
Va precisato che non deve trattarsi del Modello 231: questo, infatti, se idoneo ed attuato, escluderebbe la responsabilità dell’ente a prescindere dall’effettivo impedimento del reato.
Secondo la dottrina:
“il giudizio premiale in ordine alla condotta dell’ente improntata alla legalità e concretamente efficace nel senso di impedire la consumazione del reato si ancori, nel sistema delineato dal d.lgs. 231/2001, innanzi tutto all’adozione ed efficace attuazione del Modello organizzativo ed all’esercizio dei poteri di direzione e vigilanza, nel caso in cui tali elementi abbiano oggettivamente impedito la consumazione del reato, ma sia anche collegato, sia nel caso in cui il Modello organizzativo non esista, sia nel caso in cui lo stesso non si sia rivelato concretamente idoneo ad impedire l’azione criminosa, all’adozione di specifiche determinazioni, comportamenti, atti, procedure, ecc. che valgano di fatto ad impedire la consumazione del reato, vuoi in quanto intervengono sull’azione, vuoi in quanto impediscono la realizzazione dell’evento causalmente connesso ad un’azione già compiuta”.
Tuttavia, è necessario che l’intervento sia riconducibile ad una concreta determinazione organizzativa o gestionale dell’impresa e che non sia frutto di una risoluzione estemporanea posta in essere dagli apicali dell’azienda.
A ben vedere, l’art 26 si riferisce alla condotta impeditiva dell’ente: si pensi, ad esempio, al caso dell’azienda che, nel corso delle attività di verifica previste dal Modello, accerti preventivamente delle infrazioni, irregolarità o segnali di allarme giunti allo stadio del tentativo e si attivi in tal senso, dopo la segnalazione, al fine di impedire la consumazione del reato.
L’effettivo impedimento del reato è svincolato dalla finalità del Modello 231, che è quella di prevenire alla radice il rischio che si verifichi un reato. Sarebbe inutile provare a trovare un nesso fra la condotta inappropriata dei componenti dell’O.d.V. ed il reato.
L’addebito nei confronti dell’ente non è l’omesso impedimento del reato: ne deriva, pertanto, che l’O.d.V. non partecipa ad una funzione di impedimento del reato. Si tratta, a ben vedere, di un ulteriore argomento a sostegno della tesi che scongiura qualsivoglia tipo di concorso omissivo nel reato in capo all’O.d.V. ai sensi dell’art 40 cpv. c.p.