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Che cosa sono le “internal investigation“?
In relazione ad imprese dotate di grandi dimensioni e a vocazione multi-nazionale, è frequente che tale ente – dinanzi alla percezione di segnali e/o sintomi indicativi della prevedibile o presunta avvenuta commissione di uno dei reati presupposto ai sensi del D. Lgs. 231/2001, ovvero anche a seguito della contestazione dell’illecito ex art. 59 – reagisca “proattivamente” ricorrendo preventivamente allo svolgimento di c.d. “internal investigation” al fine di rilevare eventuali profili di responsabilità amministrativa da reato.
Come da prassi, le internal investigation condotte dall’ente possono essere tanto di carattere interno (laddove l’ente commissioni tale attività a funzioni o dipartimenti interni), quanto di natura esterna (laddove, invece, la persona giuridica si avvalga dell’attività – spesso di consulenza – da parte di un soggetto terzo, come sovente accade in relazione alle operazioni di due diligence).
In secondo luogo, assume incidenza rilevante la circostanza che le attività di internal investigation siano condotte in un momento anteriore alla formale contestazione nei suoi confronti dell’illecito amministrativo ex art. 59 D Lgs. 231/200 ovvero in un momento a ciò successivo, quando l’ente possiede la “giuridica conoscenza” della pendenza di un procedimento a suo carico.
I maggiori interrogativi sorgono, in relazione alle internal investigation svolte prima della contestazione dell’illecito, con riferimento al regime di utilizzabilità procedimentale al quale sono sottoposti i risultati delle investigazioni condotte dall’ente (di norma racchiusi in un internal report) laddove da queste emergano indizi di colpevolezza dell’ente in base ai sensi degli artt. 5 e ss. del D. Lgs. 231/2001.
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In assenza di chiari riferimenti legislativi, come si possono utilizzare in sede processuale?
A tal proposito, non è presente nel nostro sistema normativo una disposizione ad hoc che disciplini la loro utilizzabilità procedimentale, a differenza dell’ordinamento USA, in cui è previsto un regime di notevole tutela dell’informazione endosocietaria, a maggior ragione se da essa si desume la colpevolezza della società medesima.
Poiché non esiste alcun riferimento, nemmeno facendo ricorso ai principi e agli istituti previsti dalla disciplina processual-penalistica interna, al fine di addivenire alla piena protezione dell’informazione endosocietaria finalizzata ad evitare ipotesi di auto-incolpazione dell’ente, si è fatto ricorso all’istituto delle investigazioni difensive di cui agli artt. 391-bis c.p.p.
Pertanto, ne consegue un quadro interpretativo secondo cui, al fine di garantire piena protezione delle internal investigation da un utilizzo procedimentale lesivo del diritto alla non auto-incriminazione, assume un’importanza vitale la possibilità di farle rientrare sotto la veste delle “investigazioni difensive”.
Da ciò deriva che, in tale ipotesi – che richiede il necessario conferimento di specifico mandato e quindi una nomina piena del legale (con esclusione del mero “legale d’impresa” privo di procura), il quale può avvalersi di ulteriori consulenti – i risultati di tali indagini interne saranno soggette ad un regime di utilizzo procedimentale altamente garantista della posizione dell’ente committente. Trovano, infatti, piena applicazione le garanzie di cui agli artt. 103 c.p.p. e 391-bis e ss. c.p.p.
Diversamente, non troverà applicazione il diverso regime di acquisibilità della prova documentale precostituita di cui all’art. 253 c.p.p., che troverà applicazione nei confronti delle risultanze da attività d’indagine interna svolte senza tale guarentigia.