Lo scorso febbraio Confindustria ha elaborato un documento di valutazione sullo schema di decreto legislativo di attuazione della Direttiva UE 2019/1937, in materia di protezione di coloro che segnalano violazioni del diritto dell’Unione Europea e delle disposizioni normative nazionali (cd. whistleblowing). La tutela del segnalante rappresenta infatti uno strumento utile per prevenire e contrastare le condotte illegali all’interno delle organizzazioni, soprattutto quelle complesse. Tale documento indicava alcune fra possibili criticità del testo normativo, passandone in rassegna gli articoli.
Per prima cosa ha affrontato il tema dei destinatari, escludendo le imprese con meno di 50 dipendenti, in quanto queste non hanno una struttura interna tale da poter contemplare tali rischi. Successivamente, passa al tema del campo oggettivo di applicazione del modello: le prescrizioni contenute nel modello 231 sono connotate da trasparenza dei processi organizzativi ed efficacia dei presidi procedurali interni.
Per questo motivo si rende necessario un canale di informazione – interno ed esterno – efficiente.
Occorre poi rafforzare i presupposti alla base delle segnalazioni, assicurare la discrezionalità del segnalante e rafforzare i presidi di natura sanzionatoria, prima della condanna di primo grado. In generale, dunque, è fondamentale garantire una tutela della persona coinvolta che lo schema non aveva considerato, stando a Confindustria.
In via generale, si richiama il necessario bilanciamento tra la protezione del segnalante e la tutela dell’attività delle imprese dal rischio di danni reputazionali ed economici derivanti dall’abuso dello strumento delle segnalazioni. In tal senso, è stata ritenuta eccessiva l’estensione dell’ambito applicativo anche alle imprese con meno di 50 dipendenti, in quanto poco coerente rispetto al tessuto produttivo nazionale.
Inoltre, ad avviso di Confindustria, in materia di whistleblowing la divulgazione pubblica della segnalazione, prevista dallo schema, è eccessiva nel caso di violazioni del Modello 231, già oggetto di segnalazione tramite i canali interni. In merito, l’art. 4 prevede l’attivazione di un canale di segnalazione che garantisca la riservatezza del segnalante e dei contenuti della relativa segnalazione.
Per le segnalazioni esterne, invece, ci si rifà alle linee guida dell’ANAC. Tuttavia sarebbe preferibile escluderne il ricorso nel caso in cui quella interna si fosse conclusa con un provvedimento negativo. Interessante è poi il riferimento che Confindustria ha fatto relativamente alle divulgazioni pubbliche delle notizie relative ai fatti che coinvolgono un soggetto persona fisica, da dissociare con l’operato dell’impresa o del soggetto giuridico nel cui ambito il soggetto lavora.
Infine, nel documento si suggeriva un rafforzamento dei presidi sanzionatori e la necessità di una specifica disciplina per la tutela della persona segnalata, nel caso in cui la segnalazione fosse infondata ovvero effettuata con dolo o colpa, così da dissuadere chiunque voglia porre in essere segnalazioni prive di fondamento.
Dall’altra parte, si vuole tutelare anche il segnalante virtuoso, il quale potrebbe essere minacciato da una delle figure apicali della società, in modo da garantire adeguate prerogative di difesa e reazione, al pari della protezione riservata al whistleblower. Il documento proponeva di attenersi maggiormente alla Direttiva, che all’art. 21 co. 5 prevede che l’onere di dimostrare le ragioni alla base della segnalazione, oltre al fatto che tale misura è imputabile a motivi debitamente giustificati, “spetta alla persona che ha adottato la misura lesiva”.