L’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori.
La Corte di Cassazione, Sezione Civile, con la sentenza n. 1880 del 27 gennaio 2025, dopo aver ricordato che il whistleblowing serve per far emergere condotte illecite e garantire così un più incisivo contrasto alla corruzione, ha negato la protezione al segnalante ed ha escluso le tutele previste dall’art. 54-bis del D.Lgs. 165/2001 (modificato dalla Legge n. 179/2017) nel caso di un dipendente colpito da sanzioni disciplinari dopo aver denunciato i propri superiori.
La vicenda traeva origine dalla sentenza emessa dalla Corte d’appello di Ancona che si era pronunciata a seguito di un provvedimento di sospensione cautelare dal servizio di un soggetto che aveva posto in essere comportamenti integranti l’ipotesi prevista dall’art. 55 quater d.lgs. 165/2001. In particolare il ricorrente aveva denunciato alla Procura della Repubblica due fatti penalmente rilevanti commessi dai suoi datori di lavoro.
Nel caso di specie, tuttavia, le denunce erano finalizzate più che altro a esprimere un personale disaccordo del segnalante rispetto alle scelte di gestione dell’amministrazione di appartenenza.
Avverso la sentenza della Corte territoriale, il dipendente sospeso aveva proposto ricorso per cassazione, deducendo, fra le varie motivazioni, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell’art. 54 bis d.lgs. 165/2001.
Il ricorrente richiamava il quadro normativo del whistleblowing, per cui egli avrebbe segnalato delle condotte illecite delle quali era venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro. Su tale base egli non dovrebbe essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi diretti o indiretti sulle condizioni di lavoro, in ragione della segnalazione effettuata.
La disciplina troverebbe applicazione rispetto al ricorrente e potrebbe escludere che al lavoratore si possa irrogare una sanzione disciplinare.
L’istituto del whistleblowing risponde ad una duplice ratio: da un lato delineare un particolare status giuslavoristico in favore del soggetto che segnala illeciti e, dall’altro, nel favorire l’emersione all’interno delle organizzazioni pubbliche, di fatti illeciti, promuovendo forme più incisive di contrasto alla corruzione.
Il dipendente virtuoso, come affermato dalla Cassazione, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto a misure discriminatorie, dirette o indirette, aventi effetti sulle condizioni di lavoro, per motivi collegati alla segnalazione effettuata, che deve avere ad oggetto una condotta illecita, non necessariamente penalmente rilevante (Cass. Pen. n. 17715/2024).
La Suprema Corte ha affermato che l’istituto del whistleblowing non è utilizzabile per scopi essenzialmente di carattere personale o per contestazioni o rivendicazioni inerenti al rapporto di lavoro nei confronti di superiori. Questo tipo di conflitti infatti è disciplinato da altre normative e altre procedure.
La stessa Corte territoriale aveva affermato che, nel caso in esame, vi era stato un interesse personale alla presentazione delle denunce, dalle quali traspariva la doglianza relativa alla gestione del contenzioso disciplinare.